Andrea Porcheddu, MyWord

Nanni ha voluto da un lato seguire le suggestioni del suo predecessore – quindi spazio ad esperienze significative della ricerca – dall’altro ha iniziato a aprire subito a nuove e ulteriori tendenze. Tra queste, ci è capitato in sorte di seguirne alcune su cui vale la pena riflettere. A partire dal lavoro di Nanou, gruppo d’eccellenza dell’ultima ondata, che insiste nel suo viaggio claustrofobico e ossessivo titolato Motel. Diviso, ovviamente, in stanze, questo “Motel” è un susseguirsi spasmodico e inquietante di dinamiche relazionali oscure, perennemente silenziose, giocate su pochi (e sempre gli stessi) elementi d’arrendo. Illuminato sapientemente con tagli che evocano desolanti e siderali mondi hopperiani, lo spazio si fa contenitore astratto e concretissimo di personaggi qualsiasi – una coppia, un cameriere – tra i quali si intrufola una inquietante figura misteriosa, con giacca e cappello a cilindro che sposta tutto su un piano sottilmente da incubo. Tra virtuosismi fisici e ossessioni violente, questa “stanza” (abbiamo visto la “seconda“) è un dominio chiuso, una cappa che avvolge, sorprende, spaventa. C’è molto Lynch, in questo percorso: riferimento che diventa evidente – e forse eccessivamente didascalico – nel nuovo e ultimo capitolo del lavoro, strutturato in trilogia, ossia “anticamera“, in cui, dopo una straniante sequenza, voyeuristica e asfissiante, di una donna chiusa in un microcubo-stanza, si succedono quadri non altrettanto incisivi, su musiche decisamente lynchiane. Un’estetica della pura forma, dunque, che pero tocca momenti di notevole qualità, apre squarci (e qui il gruppo dà il suo meglio) amaramente carveriani, quando cioè fa affiorare quelle “faccende personali”, così recita il sottotitolo dello spettacolo, che sono frammenti di vita, umanissimi e dolenti.