Tre prime nazionali – 14.610 di Claudia Catarzi, Them di Gruppo Nanou e Maternità di Fanny & Alexander – oltre all’attesa anteprima di All About Adam di Giuliano Scarpinato.
E ancora, la danza di Michele Ifigenia Colturi, la drammaturgia di Rita Frongia, il più recente lavoro di Marco D’Agostin.
La prima apparizione dell’O.C.A. tra Castiglioncello e Rosignano per l’edizione 2023 di Inequilibrio (Armunia) è durata solo tre giorni, ma più che sufficienti per documentare che, almeno sul piano della proposta artistica, questo è un Festival in salute e che ha delle idee, capace com’è di far convergere esperienze performative di grande valore, in una proposta – “sconfinamento” era la parola chiave di quest’edizione, diretta da Angela Fumarola – efficace e organica.

THEM - Immagine movimento
THEM - Immagine movimento
THEM - immagine movimento. Danzatrice: Carolina Amoretti. Danzatore: Andrea Dionisi.

[...] Nell’estetica di gruppo nanou – che avevo incontrato personalmente solo un’altra volta, ospiti del Teatro Akropolis con l’interessante progetto Alphabet, ma di cui ho poi nel tempo continuato a seguire le tracce attraverso i racconti e le recensioni di altre riviste – mi sembra di poter riscontrare un’alta considerazione della portata intellettuale ed emotiva degli spettatori, in relazione con il proprio processo creativo: una complicità, meglio una responsabilizzazione. Almeno in Them, questa caratteristica è evidente. Qui infatti, gli spettatori svolgono una funzione insostituibile di comunità pensante, in integrazione della proposta artistica di Marco Valerio Amico e Rhuena Bracci, ideatori e curatori di quest’azione, oltre che tra i fondatori del gruppo. Durante la performance, due danzatori ripetono ciclicamente una sequenza agendo in due piccole sale comunicanti, separate dal pubblico da delle corde. Gli spettatori possono assistere allo spettacolo aggirandosi con relativa libertà nello spazio di sale e corridoi attigui ad essi consentiti. A questo proposito, va detto che le magnifiche sale del Castello Pasquini di Castiglioncello sono state qualcosa di più di un luogo semplicemente suggestivo, per questa prima nazionale: accedere a questi spazi rinascimentali ha contribuito a rafforzare l’atmosfera misterica, enigmatica, della proposta. Nel contempo, la struttura di Them sembra potersi articolare con agilità in spazi differenti e, probabilmente, con ampi margini di cambiamento in relazione alla percezione del pubblico. Per assistere a ciò che i danzatori eseguono dal vivo, la performance prevede (almeno) due ipotesi di fruizione. Una è quella di seguire l’azione vagando e scegliendo il proprio punto di osservazione – a volte, letteralmente sbirciando da una porta – pur accettando l’impossibilità di catturare nella propria visione l’intera partitura, dato che gli interpreti occupano le due sale a loro disposizione ora insieme, ora alternatamente. L’altra è quella di posizionarsi di fronte agli schermi disposti sul pavimento in più punti del percorso dedicato al pubblico. In ognuno di essi, si può vedere ciò che sta accadendo in scena, ma sotto angolature diverse, il che permette a chi guarda i differenti schermi di ampliare le possibilità di visione della stessa azione. Uno di questi visori, in particolare, riproduce la performance attraverso le riprese in tempo reale che la stessa Rhuena Bracci effettua muovendosi tra i suoi danzatori, vestita di nero e danzando così ella stessa la propria invisibilità, interna e allo stesso tempo esterna alla coreografia.

Il lavoro è complessivamente coerente e ingegnoso, ma un breve approfondimento a parte merita, a mio avviso, la scelta del titolo, Them (Loro). C’è dentro l’idea di un caleidoscopio di punti di vista (vagamente “hitchcockiana” per la sua tensione paranoica irrisolta) dato che nel pronome potrebbe nascondersi chiunque: i danzatori, impegnati nell’estenuante ricerca di senso della propria coreografia sottoposta alla dissezione anatomica della visione; i due curatori responsabili del progetto che, in ruoli differenti, costituiscono i poli interni/esterni dell’azione (l’uno supervisionando l’andamento della performance, l’altra agendo nello spazio protetto dei danzatori con il proprio dispositivo/occhio in mano); gli spettatori che si aggirano e che portano con sé la regia della propria partecipazione visiva, potenziata (o quasi disorientata) dagli schermi; gli schermi stessi, che digeriscono la cattura di corpi dall’altra parte della parete e li trasformano in immagini, che in comune con quei corpi hanno soltanto il movimento e, soprattutto, il tempo).
Sollevo due questioni ulteriori, da porre sul tavolo delle riflessioni. La prima riguarda la durata della performance: l’accesso è consentito a un numero limitato di spettatori per volta, il che impone all’organizzazione di suggerire al pubblico di interrompere il proprio esperimento di osservazione dopo un certo tempo dall’inizio dell’azione, per poter predisporre tutto per il nuovo ingresso di altre persone. Ho percepito come prematura la richiesta di lasciare lo spazio, in un momento in cui ero ancora nel pieno della mia esperienza. Ma sarei curiosissimo di scambiare opinioni con altre persone del pubblico, al riguardo.
Un secondo pensiero è legato alla presenza delle corde che definiscono lo spazio artistico e lo separano da quello del pubblico. Ho la sensazione che in questa barriera ci sia qualcosa di potente. un nodo estetico centrale, di cui ho avvertito la tensione, senza coglierne in pieno la portata, almeno sul momento, cercando però di continuare a pensarci, molto tempo dopo, a performance conclusa. Quelle corde erano il luogo del Them, corrispettivi degli schermi invalicabili, superfici sfuggenti del caleidoscopio? O evocano forse un altro Them, ancora più esterno all’azione, a tutti i corpi presenti, qualcosa di invisibile, che divida, per legge, per regola, per stato di cose, un mondo da un altro? Chi o cosa sono queste corde? Da chi ci proteggono o da che ci escludono? O forse è la stessa performance a dover essere protetta? Gli artisti? E se non si trattasse di protezione ma di semplice logica, come espressione di un’esigenza geometrica, un nitore che permette al cervello di organizzare con più facilità le proprie idee? [...]

11/08/2023 - Massimiliano Milella, L'oca critica