Premessa:

Le compagnie stanno scomparendo.
Fioriscono nuovi autori, solitari, che di progetto in progetto modificano la composizione dell’organico. Il risultato è la perdita della creazione di linguaggi personali costruiti su pratiche a favore di spettacoli, anche ben architettati, che usano materiali come cartucce e quando esauriti rischiano precocemente il manierismo, poiché non stanno permettendo il tempo alla ricerca personale.
Il teatro, come luogo, sta perdendo la capacità di rigenerarsi come spazio attrattivo popolare che guarda alla contemporaneità come risorsa collettiva.
Non è un caso che il pubblico dei linguaggi contemporanei sia sempre meno “teatrale”, non è un caso che la contemporaneità si rivolga con sempre più frequenza verso altri luoghi, ad altre istituzioni da quelle deputate.
La danza contemporanea è un pensiero che si muove e che rimette in gioco le regole. Un concetto che, empiricamente, ribalta le prospettive per tentare strenuamente di afferrarne di diverse.
E’ un’azione che prova, quotidianamente, a sfiorare qualcosa che non è esistito prima in forma compiuta, che fallisce ogni giorno in questa ricerca ma, ogni giorno, si rimette alla prova per tentare di arrivare al traguardo.
Non è un concetto anagrafico o temporale. Non è un genere artistico.
La danza contemporanea si permette il lusso di trovare le sue radici in territori diversi da se stessa. E’ capace di guardare fuori da sé. Di trasformare le esperienze in materia.

Manifesto possibile per una danza contemporanea:

(L’ordine di lettura può essere modificato in qualsiasi momento)
N.B.: Sono sempre stato contrario ai manifesti perché parlano sempre di ovvietà. Oggi però ho sentito la necessità di essere ovvio.

    1. Tagliarsi i capelli
    2. Tagliarsi la barba
    3. Queste azioni non sono da compiersi su palcoscenico.
    4. Non usare pigiami. Neanche per gli spettacoli notturni.
    5. Il pubblico non deve più essere chiamato tale. È un ospite. Può essere indesiderato, ma sempre un ospite.
    6. Necessario costruire un corpo.
    7. Necessario non mettere il corpo al centro.
    8. Necessaria costruzione di un metodo per la costruzione del corpo.
    9. Il metodo si fa progetto.
    10. Anche il contrario può essere giusto.
    11. Costruire un corpo diverso a seconda del progetto
    12. È necessario avere un progetto.
    13. Il progetto non è una storia, sia ben chiaro.
    14. Il progetto, e dunque il metodo, e quindi il corpo, sono in continuo mutamento.
    15. Non si può applicare lo stesso progetto per più di 4 anni di fila, escluse le repliche.
    16. Non ci sono ricette. Al massimo si può fare una ruota in diagonale se proprio ci si perde. Solo una però. Se non si sa fare la ruota, compiere un grand jeté. Solo uno però.
    17. Non usare il corpo di un altro per il proprio progetto. non vuol dire non avere interpreti. Eh!
    18. È necessario un lavoro di sala perché i corpi devono aderire al progetto.
    19. La forma si genera nell’applicazione del progetto.
    20. Le luci, la musica, la scenografia, i video devono aderire al progetto, altrimenti non si possono usare.
    21. Le luci, il suono, la scenografie e i video devono essere concepiti come corpi tanto quanto il corpo del danzatore.
    22. Eliminare tutte le luci di taglio in quinta.
    23. Il progetto deve essere sintetizzato in 140 caratteri ad un mese dal debutto. Se non ce la si fa, controllare di aver rispettato il primo scritto quando si è cominciato il lavoro.
    24. Nei 140 caratteri non valgono le parole abbreviate

Marco Valerio Amico

Questo manifesto è stato presentato nelle occasioni di:

18 dicembre 2015 Angelo Mai, Roma
Courtesy . Il discorso della danza
19 dicembre 2015 Sala Tassinari, Bologna
Ancora tu! Il teatro, la danza e Altre velocità

Manifesto