Lo spazio è la materia che il danzatore modifica con la sua azione, essendone completamente immerso. Al contempo, lo spazio è luogo, disegno, architettura. Entrare in uno spazio. Il corpo si posiziona per suo agio o disagio, per afferrarne un punto di visione e di abitazione.
Come coreografo individuo lo spazio mobile e architettonico.
Spazio mobile: l’azione modifica lo spazio e lo spazio modifica l’azione che, per aderire al nuovo spazio creato, modifica se stessa e modificando se stessa modifica nuovamente lo spazio che, essendo modificato, propone un nuovo cambiamento all’azione. E’ un effetto senza soluzione di continuità.
Spazio architettonico: mappa, forma dello spazio, scenografie per rendere efficiente l’azione e rendere leggibile il dispositivo coreografico. Organizzare il paesaggio in cui l’azione si muove.
Devo tenere presente sempre entrambi i punti di vista sopracitati.
L’obiettivo coreografico è quello di entrare in un luogo e spostarlo, modificarlo. Ogni spazio è diverso e ogni spazio è nutrimento. La coreografia e il corpo devono necessariamente misurarsi con questa diversità ogni volta per attivare l’organismo dello spazio e determinare la qualità dell’azione.
Se la danza ha sempre ragionato sullo spazio, spesso visivo, l’architettura ha tra i suoi compiti quello di ragionare su uno spazio abitativo, che deve esaudire sia l’immagine che la relazione che quell’immagine può avere con chi percorre e vive lo spazio.
La danza si fa architettura poiché idea, erige e progetta continuamente luoghi nei luoghi.
Spazio: Richard Serra
Appunti per un progetto coreografico desiderato:
Lo spazio deve avere misure minime di 50 metri di profondità, 23 metri di larghezza, 10 metri di altezza.
Si prediligono spazi di archeologia industriale.
Il pavimento deve essere in cemento o in legno usurato.
I muri di colore bianco o grigio cementizio.
Il luogo dev’essere completamente nudo.
Le finestre nutrono lo spazio di luce naturale.
Lo spettacolo si svolge dall’ora del tramonto fino al completo calare del sole e in replica dall’ultima mezz’ora di buio notturno al compimento dell’alba.
La coreografia si svolge nei secondi 25 metri di profondità così che l’occhio di chi osserva percepisca all’ingresso piccole figure disperse in un luogo lontano. Un campo lungo qcinematografico nel deserto permette la percezione dell’insieme e del suo movimento perpetuo La scena è tagliata da forme geometriche a terra bidimensionali create con materiali industriali riflettenti alternati al pavimento esistente.
I materiali sono collocati per trovarsi nel movimento naturale della luce solare in diverse temporalità.
I colori dei materiali vanno dal bianco al nero passando per le percentuali di grigio definite per numeri primi.
Queste forme, queste aree sono mappe per la creazione coreografica e vie di fuga per lo sguardo. Il numero di aree è 7.
La dimensione minima di ogni area è di 5 metri X 3 metri. La massima è di 11 metri X 7 metri. Ogni area ha regole coreografiche distinte, eppure in ogni regola, in ogni area c’è un punto di incontro temporale e di azione che si svolgerà simultaneamente almeno in un’altro luogo.
Le aree sono punti di incontro in cui le progettualità individuali dei danzatori scelgono di collaborare per il raggiungimento di un obiettivo spaziale comune formato dalla convivenza di percorsi distinti.
Ogni area potrà divenire una performance a se stante in quanto episodio seriale di un progetto più ampio.
Le zone libere da forme geometriche determineranno la via, il percorso possibile per lo spettatore. L’occhio impiegherà del tempo a scorgere i danzatori e la loro attività poiché si perderà prima nella vastità.
Lo spettatore è libero di muoversi nello spazio così come è libero di entrare ed uscire.
Il tempo di fruizione è lasciato allo spettatore così come il punto di visione.
Non è una questione di immagine. È solo una questione di disequilibrio continuo da cui fuggire prima della caduta.
Il suono è costantemente presente per tutti i 50 metri di profondità dello spazio.
I suoni sono esclusivamente concreti seppur composti ritmicamente per determinare un inciampo continuo.
Le frasi coreografiche e sonore sono basate ritmicamente sui primi 27 numeri primi per non cadere mai nella riconoscibilità del ritmo afferrando così una dimensione costante e temporale
Il numero dei danzatori è 13.
I loro costumi riportano aree geometriche presenti nello spazio: un quadrato bianco sulla destra della schiena su maglietta nera; un rettangolo nero al centro del petto su maglietta bianca; un cerchio grigio al 17% nella zona dell’addome su maglietta grigia all’83%, ecc.
La coreografia è costantemente centrifuga.
L’azione è perennemente transitiva.
La relazione coreografica tra i corpi prevede sempre tutto lo spazio.
Non esistono assoli, duetti, terzetti... è sempre una coreografia per 13 corpi che agiscono in uno spazio vasto e determinano alleanze.
Il rapporto di distanza e di traiettorie è nell’innesco percettivo del campo che il corpo è in grado di generare e rilanciare.
Il corpo si pone in una dimensione quadridimensionale.
L’azione si rapporta alle aree geometriche disfandole per la sua caratteristica figurale implicita, poiché non lavora per un disegno ma si impiega come forza di spostamento.
Il tempo diventa necessariamente spazio poiché è tempo di riverbero dell’azione.
L’azione è alla sua massima ampiezza poiché sempre oltre se stessa.
L’azione è un continuo riscrivere gli sbilanciamenti dello spazio.
L’azione si relaziona all’area proiettandola ortogonalmente ponendosi sempre oltre il proprio asse di equilibrio.
Lo sguardo deve fagocitare più spazio possibile, non c’é tempo per battere le palpebre.
La coreografia nasce perché genera e svela spazio.
Il disegno dello spazio è lo strumento per evidenziare e chiarire l’attività coreografica.
All’ingresso dello spazio è collocato un bar.
Marco Valerio Amico