21/02/2014 - Tristana Chinni, Puntoelinea Magazine
Un interno borghese racchiuso in una scatola con carta da parati e seduta bianca. Una donna dalla gonna rossa e scarpe alte si muove in quell’universo claustrofobico contorcendosi, Alice contemporanea carrolliana bevitrice di boccette sbagliate: ispeziona lo spazio con il corpo, assume posizioni che sfidano la forza di gravità, gira a vuoto e poi occasionalmente si ferma in un’improbabile posizione come se quell’universo troppo stretto fosse ormai la norma e lei vi si dovesse adeguare. Un mago con cilindro si esibisce in spettacoli quasi inesistenti di prestidigitazione che negano aspettative promesse tra le righe, misti a danza: talvolta la sua testa scompare in una deliziosa illusione ottica, talvolta accenna a passi di un ballo, talvolta parte un applauso registrato fuori campo. Un cameriere particolare con guanti e livrea interagisce con strani oggetti, apparentemente inutili che trasporta su di un carrello: miniature di mobili, una gabbia… Al centro della scena rimane il cubo, teatrino aperto durante la prima performance, poi oggetto chiuso misterioso in grado d’avere un suo appeal e richiamare- come afferma Rhuena Bracci, una delle danzatrici della compagnia- le opere di Jurgen Albrecht. Si tratta di Anticamera, terzo spettacolo inscritto nella trilogia Motel del gruppo di ricerca Nanou, dove l’incontro di linguaggi differenti quali corpi, luci, suono danno vita a nuove polisemie. La compagnia ravennate prosegue la propria ricerca lavorando su corpi ben allenati di danzatori professionisti che spesso non terminano l’azione, ma l’accennano e la consegnano all’eternità, quasi questa venisse suggerita e poi protratta come un’eco (già in un loro precedente spettacolo, il gruppo aveva parlato a questo proposito di “andamento modale”). Strani figuri accennano a passi di ballo disseminando la scena di tracce di spettacoli passati dove veniva intrapreso uno studio sullo stesso, ovvero su un gesto che non è portatore di significati altri ma si consegna nella sua precisione. La scena, onirica e pop, è ancora una volta grande catalizzatrice d’attrazione: graffiata da una luce che regala allo spettatore tante istantanee di grande qualità estetica e popolata da personaggi misteriosi che ricordano l’universo cinematografico di Lynch, ma anche quadri surreali mutuati dalla storia dell’arte alla Magritte. In Anticamera le proporzioni sono sovvertite, il mondo che appare è retrò e alla rovescia anche quando la luce all’interno del cubo si spegne e l’attenzione viene calamitata sull’esterno intriso di nonsense, eppure l’azione viene agita con tanto equilibrio ed armonia che quello a cui assistiamo sembra essere la normalità. Negli spazi creati dai Nanou convivono immagini apparentemente incompatibili, personaggi in bilico, inquietanti ed ironici. E’ un universo non finito quello messo in scena dalla compagnia romagnola che suggerisce senza dare soluzioni come un’enigmatica opera aperta e per questo di grande forza. Non è un caso allora l’affinità che lega il gruppo ad un artista a loro caro, Alberto Giacometti e alla sua poetica di instabilità e mutevolezza: “una scultura non è mai un oggetto, è un interrogativo, una domanda. Non può mai essere né finita né perfetta. Da qui la mancanza”.