I momenti di danza durante Canto primo sono, in effetti, incursioni, intarsi, improvvisi lampi immaginifici che intravvediamo scorrere dietro al gruppo musicale. O, per meglio dire, sono un diverso livello scenico, una lastra semi-riflettente e semi-distorcente frapposta fra gli ambienti della ex-fabbrica e i musicisti, che “traduce”, nella maniera meno letterale possibile (e anzi, per certi versi, con accenti antifrastici), il rumore in moto, le vibrazioni sonore in guizzanti curve cinetiche.

Canto primo
Still video: Claudio Stanghellini
La nebbia, che verso la fine di La morte e la fanciulla avvolge palco e performer ed è di natura prettamente visiva e fisica, in Canto primo di gruppo nanou assume invece una caratterizzazione sonora, un impasto rumoroso. Ad accogliere lo spettatore negli spazi dell’ex-deposito di corriere ci sono infatti gli OvO, duo musicale composto da Stefania Pedretti (voce e chitarra) e Bruno Dorella (batteria) che da sempre si pone all’incrocio di diversi generi fra heavy metal, noise e punk con venature industrial. Si trovano in prima fila di fronte al pubblico, ai due lati della pedana di legno posta al centro dell’ampio spazio ex-Atr come fossero, in un certo senso, “guardiani della scena” che si sviluppa in penombra alle loro spalle. Infatti lì sostano per tutta la durata della performance, con posa solida e vigorosa, illuminati da una luce calda che fa risaltare curve e spigoli.
Ma, appunto, con strumenti e amplificatori muovono l’aria tutt’attorno. Il graffio costante della chitarra si espande in modo quasi granulare, mentre la voce di Pedretti, anch’essa distorta e grattata, vi si aggiunge come un rombo, come il lavorio industrial-infernale che viene spontaneo associare ai macchinari e agli antri dismessi che abitano lo spazio dello spettacolo. I colpi di bacchetta di Dorella, più nerbati che scanditi, impregnano il ritmo di energia tellurica, quasi a voler “scaricare a terra” la caligine sonora prodotta dai colpi di plettro e dai riff impastati di elettricità. Sullo sfondo, un lungo telo rosso che ha una parte poggiata al suolo e un’altra a salire in verticale. È qui che, durante l’esibizione musicale, appare e scompare la danzatrice Rhuena Braucci, il corpo interamente coperto col viso e il capo avvolti in una maschera integrale di tulle (telo e vestito sono gli stessi che ritrovavamo in un precedente lavoro di gruppo nanou, Conversazione per Arsura, da cui infatti prende le mosse anche Canto primo).
Lo fa articolando i gesti in maniera estremamente sinuosa, ma non suadente, precisa e algoritmica, ma non virtuosistica o meccanica. La coreografia, complice anche il vestito che occulta praticamente ogni dettaglio della figura umana, sembra voler prescindere dal corpo, o comunque sembra volerlo trascendere per esprimere una sorta di “funzione dinamica” pura, autonoma, che viva di energia propria. E infatti, i movimenti di Rhuena Braucci si sviluppano in maniera indipendente della colonna sonora, è come se penetrassero dentro quest’ultima senza seguirla o senza assecondarne l’andamento. I momenti di danza durante Canto primo sono, in effetti, incursioni, intarsi, improvvisi lampi immaginifici che intravvediamo scorrere dietro al gruppo musicale. O, per meglio dire, sono un diverso livello scenico, una lastra semi-riflettente e semi-distorcente frapposta fra gli ambienti della ex-fabbrica e i musicisti, che “traduce”, nella maniera meno letterale possibile (e anzi, per certi versi, con accenti antifrastici), il rumore in moto, le vibrazioni sonore in guizzanti curve cinetiche.
In modo in un certo senso analogo al precedente spettacolo di Abbondanza/Bertoni, anche qui si evoca la morte, con i testi di OvO che tratteggiano atmosfere di mistica apocalissi e catabasi emotive. Similmente, sembra come aggirarsi la ricerca di una provocatoria e crudele seduzione che, se nella rielaborazione dell’opera di Schubert assume toni lirici e classicheggianti, in Canto primo ha invece l’aspetto torvo di un cancello spalancato sull’abisso, al di là del quale però vediamo e non vediamo, fermi su una soglia di elettrica foschia, e di accenni coreografici che perturbano le tinte ferro e fuoco dell’orizzonte.
19/09/2025 - Francesco Brusa e Petra Cosentino Spadoni, Altrevelocità [ipercorpo 2025]

Canto Primo – Festival Ipercorpo, ExATR
Foto: Gianluca Camporesi