Se non fossi stato a un incontro con dei gruppi teatrali, quasi sicuramente non ci avrei fatto caso, ma che cosa significa “mi sembrava di essere sulla scena di un teatro d’avanguardia”? Lo dice il protagonista di uno dei bellissimi racconti di Murakami Haruki raccolti in I salici ciechi e la donna addormentata (Einaudi, 2010) come se questo significasse qualcosa di evidente, se non di preciso, ed effettivamente è molto suggestivo. La scena del teatro d’avanguardia – accettiamo la terminologia generica – è effettivamente molto diversa sia dalla realtà che dal teatro tradizionale. Come la si deve o può fotografare allora?

Era la questione sottoposta a un gruppo di invitati, tra cui il sottoscritto, in un recente fine settimana all’Arboreto-Teatro Dimora di Mondaino, nel magnifico entroterra di Rimini .
Strehler, com’è noto, insegnava (per esempio a Mulas, che lo riporta nella sua conversazione con Quintavalle), che il fotografo si deve mettere nella precisa posizione del regista durante le prove, dodicesima fila al centro, e deve fotografare tutta la scena così come si presenta, senza dettagli né altri artifici. Fine del discorso! È il modo più corretto per restituire ai posteri e agli assenti il lavoro della regia. Ma, appunto, c’è teatro e teatro, e dunque fotografia e fotografia.

Il gruppo nanou ha trovato nella fotografa Laura Arlotti un’interprete d’eccezione, in cui si riconosce perfettamente. Per loro si tratta di una sintonia di intenti, di “poetica”, come si usa dire, in cui la fotografa riesce al tempo stesso a interpretare la scena che Nanou presenta e a vedervi dei tagli e dei dettagli rivelatori del lavoro che il gruppo fa sullo spazio, sul tempo e sul corpo. Il fatto è che i componenti di Nanou amano a loro volta scartabellare tra i libri e siti di fotografia e traggono spesso spunto da immagini che li colpiscono. Nella fotografia di scena, potremmo allora dire, ritrovano quella da cui sono partiti, ma reinterpretata da loro stessi. Il circolo è virtuoso.

21/10/2011 - Elio Grazioli, Doppiozero