15/05/2015 - Pia Colombo, Tfaddal
Il sipario si apre su una luce blu intermittente e il fumo pian piano riempie la sala. Saranno le nebbie del freddo danese? – mi chiedo curiosa, quando inizio a distinguere ombre emergere dal buio. Il ritmo della musica sincopata fa salire la mia tensione mentre una serie in apparenza infinita di figure attraversano la scena in loop. Uno di loro è Amleto? No, aspetta, sono camerieri; camerieri! Sono lentissimi, recano oggetti le cui forme si riconoscono solo per ipotesi; stanno smontando qualcosa. Ci siamo, mi ritrovo… forse. Poi è un momento. Il faro blu si tinge di aranciato ed eccola lì, la femme: un motivo che si avvita nel cono di luce. È un’apparizione istantanea, bellissima. Brilla veloce come una favilla e di nuovo la scena è immersa nel gelo: le figure riprendono la loro processione. Ma lo spettro ne ha oramai turbato le monotone simmetrie; la musica è cambiata e nello spettacolo si innesta leggero il nuovo tema del ballo da sala. Le coreografie rilassano, ma sono solo frammenti intercalati dal continuare del corteo funebre (?), dagli affondi di spolverini, da un guerriero misterioso che si costruisce una tomba di quinte, fino a che… una maschera con le piume? no…! ecco: un teschio!
Per tutta la durata dello studio di Gruppo Nanou su Amleto lo spettatore è scisso tra la ragione, che gli pone interrogativi di senso rispetto al nesso tra ciò che avviene in scena e la materia amletica, e la voglia di abbandonarsi al puro incanto di luci, corpi, gesti, danza e simboli; all’esibizione dei Nanou. Soprattutto, affascina il modo in cui Marco Valerio Amico e Rhuena Bracci trafugano Shakespeare unendolo alla loro ricerca attuale sul noir e alle arie del dancing hall. Le movenze leggiadre e romantiche di una volta richiamano un’atmosfera lontanissima, felice; distraggono lo sguardo dalla tragedia che nonostante tutto la mente sadica ricerca. Nel finale il sollievo (?). Ritroviamo Amleto nella morte di Ofelia, solo che i fiori sono coriandoli. È un attimo, ecco: un teschio!