[…]Un analogo afflato teoretico – che nella corporeità ha pur sempre origine, e che tuttavia non sembra esaurire in essa la propria valenza – è alla base del lavoro di gruppo nanou, presentato all’interno della Sala Campolmi dell’Istituto culturale e di documentazione Lazzerini. Mappe, tappa del più ampio progetto Alphabet, è una coltissima, cerebrale inquisizione sulla danza: quella creata dal gruppo ravennate, ma anche la danza tout-court, della quale la compagnia fondata da Marco Valerio Amico, Rhuena Bracci e Roberto Rettura tenta di fornire una sinossi geometrica, quasi una pedagogia di chirurgica esattezza. È la voce registrata di Amico a illustrare semantica e sintassi di una disciplina che si fonda sull’assunto per il quale «lo spazio è una mappa che il danzatore deve rispettare»; a terra, tracciati con nastro nero sopra un tappeto danza chiaro, due triangoli e un trapezio irregolari creano un poligono di aree che Carolina Amoretti, Sissj Bassani e la stessa Bracci percorrono e abitano attraverso rotazioni e slanci, in un fluire del gesto ininterrotto e tuttavia rigidamente determinato se non deterministico.[…]Mentre la teoria coreografica di gruppo nanou è presentata al pubblico con tonalità fredde ed espositive, la pratica si dispiega in una danza non dialogica: evitando contatti e sguardi, ma piuttosto coabitando un ambiente, le tre performer creano una topologia all’interno della quale la componente estetica – «l’immagine» – è un mero «scarto del dispositivo». gruppo nanou sfida così lo spettatore ad abbandonare qualsiasi postura empatica: l’osservazione che Mappe richiede e al contempo indirizza è scientifica, e gli esiti figurativi del movimento appaiono mere concrezioni accessorie di un pensiero altro, che traduce l’astrattezza del concetto in teoremi, regole, corollari. E tuttavia i pattern progressivamente si arricchiscono di soluzioni, sembrano colorarsi di fugaci connessioni, o di verticali che invertono brevemente le polarità tra alto e basso, tra superiore e inferiore: a sorgere sono «interessi comuni» e «incidenti creativi» che tessono sopra la trama geometrica un ordito di nuove possibilità. Proprio “possibile” era la danza propugnata da Marco Valerio Amico nel suo Manifesto del maggio 2017; il documento, oggi, appare quanto mai significativo, prima ancora che nella sua pars costruens, proprio nella diagnosi della scomparsa delle compagnie e nel fiorire di nuovi autori: sempre più «solitari».
