Dunque, è provato che si può “pensare con il corpo”, per citare il libro di Jader Tolja e Francesca Speciani. Già Einstein sosteneva che “abbiamo bisogno di pensare con sensazioni nei nostri muscoli”. Seguendo le Mappe di Gruppo Nanou nella Sala Campolmi dell’Istituto culturale e di documentazione Lazzerini, la danza è, per l’appunto, pensiero in atto, con un vocabolario coreografato da Marco Valerio Amico e Rhuena Bracci, agito da Carolina Amoretti, Sissj Bassani e dalla stessa Bracci.
Per terra del nastro nero traccia tre figure (due triangoli e un trapezio), quante sono le danzatrici. Le linee spezzate dei gesti si fanno incontro, traiettoria, vicinanza in piena luce. Lo spazio è generato anche dai corpi e infatti i vuoti di campo lasciati liberi assumono caratteri, densità e calore altrettanto geometrici. “È una mappa – spiega la voce off di Amico – che il danzatore deve rispettare per ottenere quel limite capace di verificare l’evidenza del lavoro, sottolineandone i percorsi da intraprendere”.
Amoretti, Bassani, Bracci, in maglietta e calzoncini come ginnaste, tratteggiano una specie di meccanismo, ingranaggio cosmico, inquadrato qua e là dal commento del coreografo. L’autore è il creatore della nostra visione, guida solo noi, non pure loro: i suoi ragionamenti incidono su come, invece che su ciò che vediamo. In una simile cornice incomunicante, le tre ballerine ci appaiono sempre più straniate, assenti, tipo in trance.
Mappe, allora, appare un astratto esperimento di laboratorio, algido e concettuale. La musica (suono di Roberto Rettura) dal rimbombo di un qualche antro percorso dal vento si apre al ritmo, all’elettronica, tuttavia la qualità di diagonali, salti, avvitamenti, rimane immobile. “Compito della coreografia – prosegue Marco Valerio Amico – è evidenziare il limite per trovare le vie di fuga, per afferrarne l’incidente creativo”. Non si fa mai cenno alla risorsa imprescindibile per dare gambe al coraggio dell’inaspettato, ovvero il respiro, il soffio vitale, l’anima e il cuore.
Vanno giù le luci e al buio completo la sua voce torna a spiegare ciò che vedevamo e ora non vediamo più. Resta la sola, vera e propria protagonista, un poco oltre la fine, come le scie che si imprimono negli occhi appena chiusi, a ricordarci che qualcosa c’è stato. In questo caso, la perizia tecnica e la pulizia gestuale.