15/05/2015 - Anna Maria Altomare, Tfaddal
da http://tfaddal-teatrofrancoparenti.org
di Marta Maria Altomare (1989), laureanda in Filologia moderna presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore.
Un linguaggio complesso quanto sofisticato contraddistingue il peculiare studio sull’Amleto del giovane Gruppo Nanou: una performance che affianca il movimento dei corpi al contrasto delle luci coordinate alle scelte musicali, che accompagnano lo spettatore nell’evocazione di un’azione che non si vede, ma c’è; nella ricerca di un senso, che apparentemente sembra non esistere.
L’assenza delle parole permette di andare di là della trama, lasciando fluire le impressioni più forti e forse anche quelle rimaste in sospeso: transitano sulla scena dei bicchieri su di un vassoio, una testa di cinghiale imbalsamato, un vestito rosso paillettato, dei pannelli damascati. E Ofelia, esattamente come gli oggetti che appaiono e scompaiono per mezzo dei camerieri, è una presenza sfuggente. Entra ed esce con una maschera che le copre il volto, per brevi attimi, camminando, correndo o volteggiando: inosservata.
L’immagine sfumata della donna si contrappone a quella marcata di Amleto, il quale sulle note di Voilà, Cheek to Cheek e My funny Valentine compie gesti scanditi, precisi, ripetitivi, a tratti lenti a tratti veloci; spesso accompagnati dai camerieri in giacca verde, che intervallano movenze da automi robotizzati a tombé, chassé, plié e battement tendu della danza classica in chiave prettamente moderna.
Amleto e Ofelia forse si cercano, ma non si scontrano; l’uno non tocca mai l’altro. Da un’iniziale atmosfera tesa e lugubre, lentamente la scena emerge sotto le luci, prima blu, poi rosse, infine è il giallo a prevalere. La luce non è uniformemente diffusa: conica, laterale o intermittente che sia, i soggetti rimangono sempre un po’ in penombra. Cherchez la femme, il femminile amletico per antonomasia, Ofelia: questa è la sfida lanciata allo spettatore, che tra un valzer e un fox solitario, cerca la donna eternamente schiacciata dall’uomo, consumata d’amore.