Di
Marco Valerio Amico, Rhuena Bracci
Con
Marco Valerio Amico, Rhuena Bracci, Enrico Caravita, Marco Maretti, Matteo Timo
Suono
Roberto Rettura
Produzione
Nanou Associazione Culturale
« Mi piace ricordare le cose a modo mio… che non è necessariamente il modo in cui sono accadute».
(David Lynch, Lost Highway)
Questo progetto nasce dalle suggestioni avute da “I miei luoghi oscuri” di James Ellroy. La madre di James Ellroy venne assassinata. Trentasei anni dopo Ellroy riapre l’indagine. Un cadavere, quattro sospetti, la scena del crimine e gli indizi per la soluzione del delitto sono gli elementi utilizzati per reinventare la possibile cronologia degli eventi. L’azione si colloca nello spazio e nel tempo precludendo la sua descrizione o la propria ambientazione, in rapporto con la nitidezza della scrittura di Ellroy e con l’andamento modale jazzistico, per determinare il ritmo dello spettacolo. Violare le regole romanzesche per mantenere l’ambiguità del non-racconto. Ottenere un tessuto narrativo cortocircuitante che sfaldandosi si disloca paradossalmente nella stessa dimensione temporale. Come nel ricordo di un sogno: «Non eri tu. Io sapevo che eri tu, ma non eri tu…» Immagini fissatesi per un attimo sulla retina, archiviate nella parte più remota del cervello e ripescate quasi per caso sotto lo stimolo del sospetto. Entrare in uno scorrere temporale già in atto. La tessitura drammaturgia è complessa, articolata, composita, spessa, stratificata di singoli elementi, di singole azioni, di frammenti semplici, sottili, lineari. Una sovrapposizione di trasparenze, moltiplicazione di analogie ed enigmi. Nessuno si presenta o viene mai apostrofato, possiamo solo ipotizzare chi siano i comprimari: amici, compagni, poliziotti, sospettati… Rilevare gli indizi, ricostruirne il percorso mancante attraverso testimonianze incongruenti. Andare per scomposizione di piani cronologici, per molteplicità di prospettive simultanee non perfettamente coincidenti. Dei fatti in sé non rimane traccia oggettiva, esistono soltanto versioni parziali e non sempre sovrapponibili. Il punto di ricerca sul quale ci stiamo muovendo è quello di scandagliare il suono, il corpo, la parola, addizionarli per ottenere un prodotto che è terzo. Fondere questi tre elementi perché diventino veicolo di una visione, perché trasformino e sgretolino una realtà mostrandosi e smostrandosi. Il suono preso nella sua capacità di stilizzarsi, in grado di avvicinare nel suo discorso un più profondo modello originario e ideale delle cose sensibili. Un “rumore bianco” invasivo di fondo, suoni che infestano lo spazio come in un monologo interiore e propagano un’atmosfera. La parola assume la funzione di immagine muovendosi fra didascalia e discorso alla ricerca di un’addizione che ha come risultato l’indizio. Le azioni sceniche sono temporalmente e ritmicamente scollate fra loro, sovrapposte, come disegnate su strati differenti di carta trasparente. Azioni del quotidiano in contrasto con corpi intenti in minuziosi riti ossessivi. Le luci entrano a far parte delle azioni sceniche; manovrate dall’interno, non hanno la funzione d’illuminare luoghi o gesti ma aprono porzioni di tempo. Svelano corpi e colori già fatti, colti nello svolgersi delle loro azioni, come caduti dall’alto. Le immagini sono già composte nel momento della loro apparizione. Attenzione nell’illuminare piccoli dettagli. Dettaglio come indizio, possibile prova per trovare l’assassino. Sondare meticoloso di piccoli spazi e porzioni di carne alla ricerca di prove.
«Solo una messa a morte spettacolare è suscettibile di rivelare quel che di regola sfugge all’attenzione».
(Georges Bataille, “L’erotismo”)