[…] A pochi giorni dal debutto di Sisyphus/Trans/Form si è affacciata a “Danae”, Festival milanese attivo da ventuno anni We Want Miles, In A Silent Way del gruppo Nanou. Aprendo una parentesi dolorosa, sembra doveroso constatare che Milano è città piuttosto ingrata per la danza contemporanea; vanta festival di media e piccola levatura e ospita qua e là anche nomi importanti, tuttavia non possiede nessuno dei lunghi e articolati festival che regnano da tempo a Torino, Roma, Reggio Emilia. È un buco nero, anche progettuale, di cui la città non si può certo vantare. La pièce dei Nanou, qui guidati da Marco Valerio Amico e Rhuena Bracci, reca già nel titolo la sua fonte ispiratrice: Miles Davis, uno dei maggiori musicisti nella storia del jazz. È formalistica e nello stile dei ravennati Nanou non rinuncia a quelle strisce di luce, qui di vari e cangianti colori, che servono da binari, o creano recinti ove la danza vive in una successione di quadri.
Curiosa la figura maschile in completo nero di spalle che appare subito all’inizio e mostra un piede fuori dall’asse del suo equilibrio, calzato di giallo. Costui, ricompare a tratti, spesso per semplici camminate, o per danze “libere”, molto diverse da quelle elaborate con tecnica e precisione dalle tre danzatrici: Carolina Amoretti in calzamaglia dal busto color carne e dai lunghi capelli, Marina Bertoni, in camicia bianca a sbuffo e pantaloni verdi attillati e la stessa Bracci, interprete e co-coreografa anche in costumi quotidiani: tute con cappuccio, ad esempio. Sul fondo un pannello chiude lo spazio a metà e lascia comparire e scomparire le interpreti: si tinge anch’esso di vari colori partendo dal rosso. La danza fa uso di linee rette, di braccia tese, di evoluzioni tonde nello spazio ed è differente per ognuna delle tre danzatrici anche se questa diversità, ad eccezione della Bracci che spesso si rotola a terra, è dettata per le altre due soprattutto dalla velocità d’esecuzione e dalla personalità di entrambe.
We want Miles, in a silent way © Michela Di Savino
In un’ora si consuma un omaggio a Miles Davis che non parte esattamente da sui brani musicali, bensì dal suo metodo compositivo, dalle sue “strutture”. Le percussioni, a lato della scena del Teatro Out Off che ha ospitato “Danae”, sono guidate da Bruno Dorella e rielaborano e trasfigurano brani di Miles, preferendogli anche inserti elettronici o silenzi puri e secchi. In questo modo cromatico-danzato e con musica live anche non di Davis, se non nella parte finale, fuoriesce la celebre tromba del cosiddetto “principe delle tenebre”, scomparso a Santa Monica nel 1991. Sulla personalità ombrosa di Miles restano molti ricordi e testimonianze. Tra le sue frasi più celebri risuona quel “Perché suonare tutte queste note quando possiamo suonare solo le migliori?”, sintesi di una poetica basata sull’inconfondibile suono languido e sull’emotività controllata del suo strumento d’elezione, piuttosto che sul virtuosismo fine a se stesso. Esempio esplicito della sua grandezza è Kind of Blue (1959), che forse rimane uno degli album jazz più popolari di tutti i tempi, avendo venduto oltre quattro milioni di copie solo negli States.
In We Want Miles, in a Silent Way i Nanou, emersi all’inizio del terzo millennio, provano a cimentarsi con il modo di comporre di questo campione di sobrietà e insieme di versatilità che regalò non solo al jazz ma forse a tutta la musica nel suo insieme, un patrimonio ancora vivo. Hanno debuttato pure a New York e a Ravenna Festival: ovunque dimostrando il rigore e la serietà della loro ricerca per la quale hanno persino scelto un docente di cromatologia (Daniele Torcellini) per la collaborazione al dispositivo scenico e per i colori, bellissimi, che invadono lo spettacolo. Tra tocchi inattesi e persino ludici, come la presenza maschile – forse ombra dello stesso Miles – l’unico neo parrebbe la materia danza di due delle danzatrici (Amoretti e Bertoni): non tanto per come viene impeccabilmente restituita, bensì per una sorta di ripetizione dei movimenti spesso troppo identici e che possono ingenerare monotonia.