PARADISO Bozzetto SN 003 - Simone Telari
Nanou, Pirri, Dorella - PARADISO [BOZZETTO SN- 003] © Simone Telari

Lo Zut! di Foligno nasce sulle ceneri del cinema Vittoria, ne conserva persino la sala da proiezione, con la porta dal tipico oblò che ora, unita a quella che forse fu la galleria, è un locale, da cui si può guardare giù, di sotto.
Dal 2014, al netto dei mesi pandemici, a far vivere lo spazio, riconvertito in teatro, è la compagnia ZOEteatro, fondata da Michele Bandini ed Emiliano Pergolari.

È nello Zut! e in altri luoghi della città che quest’anno si tiene il primo Umbria Factory Festival, previsto in tre weekend a partire dal 21 ottobre fino al 12 dicembre. Si tratta di un programma multiforme che dal teatro spazia alla danza, alla performance, al reading, al concerto vero e proprio (Muta Imago, Elisa Pol, Sarteanesi/Bosi, Davide Valrosso alcuni dei nomi previsti). Si tratta di spettacoli con una loro storia alle spalle, ma non mancano le prime assolute e lavori che proprio negli spazi umbri sono sono cresciuti, grazie a progetti come C.U.R.A., il Centro Umbro di Residenze Artistiche, La Mama Spoleto, e l’ospitalità di spazi come lo stesso Zut!.

[...] La novità del primo weekend chiude la serata del sabato e ci porta nel poema dantesco. Nel “Paradiso” la luce è protagonista assoluta: ogni incontro, ogni gradus e ogni comprensione, anche fallita, avviene attraverso di essa. È la luce stessa, in un contesto rigidamente immateriale, a disegnare la sostanza di un mondo, a dare all’uomo, per quanto possibile, una chiave per avvicinarglisi.
Ciò è chiaro al gruppo nanou che, insieme ad Alfredo Pirri e Bruno Dorella, ha proposto, quale esito di residenza, il terzo “bozzetto” del progetto “Paradiso” che terminerà nel 2022, e che ha già visto, nell’occasione delle celebrazioni dantesche, una coppia di restituzioni: ogni studio «non [è] un passo avanti ma un passo in profondità nella ricerca», dichiarano.
Con evidente riferimento alla cifra principe della numerologia dantesca, per tre volte al giorno 33 spettatori sono invitati ad assistere ai 33 minuti di questo breve “Bozzetto sn – 003”.

Il dispositivo è chiaro, e proprio sulla luce si impernia: una batteria di par-led inonda la lunga sala dell’auditorium Santa Caterina preparata da Pirri, rimandati, allargati e moltiplicati dalle lunghe strisce di tappeto-danza argento e bronzo che coprono il pavimento e si arrampicano fino al “fondo”, nel quale si aprono due porte.
Anche gli abiti delle performer, che da quelle porte entrano ed escono, sono pieni di luce (trionfo di lamè, paillette, strass), ma evitano l’omologazione in un costume di scena identico per tutte – e se uno volesse trovare anche in questa scelta un parallelo dantesco, lo rintraccerebbe nel proliferare dei dettagli pur nell’inflessibilità dell’impianto architettonico della Commedia, nell’eccentricità mai sdegnosa degli elementi nelle allegorie.

Oltre le due porte si avverte l’oscurità, e da essa si accede a questo universo saturo di luce sempre cangiante, dove la spazializzazione sembra smarrire i suoi connotati empirici, cartesiani, e non è più ravvisabile una direzione verso cui procedere o a cui tendere. Le performer, in effetti, a parte una lieve tensione spiraliforme verso l’alto, semplicemente stanno, benché sempre impegnate in un moto senza nervosismi né contraddizioni, senza pulsioni, senza volontà, come le foglie di un ramo toccate da un flebile ma non occasionale alito di vento. Ma questi corpi innervati di luce non solo stanno nel loro moto, in esso semplicemente sono, in esso consistono, annullati i volti da leggeri veli – come quelli degli Amanti di Magritte, ma più radi.

Non vi è narrazione né sviluppo in questi non-personaggi: la loro esistenza semplice e totale, indistinta ma radicale, è parte di quel mondo, ne «sustanzia» l’esistenza.
Così la musica di Dorella non si piega a costruzioni per variazione né a drammaturgie dinamiche: scaturigine di tutta quella luce, suo corrispettivo sonoro, o traduzione in chiave contemporanea dell’indicibile melodia delle sfere? Di fatto, è l’unica musica possibile per questo lavoro, oltre forse al silenzio.

Poi, sul filo sottilissimo teso tra ironia, convinta traduzione scenica, reale aggiornamento della tecnica allegorica, entra in scena un uomo, lui sì personaggio. Ha un accappatoio rosso e un paio di pinne in mano: il Dante di nanou è uno che si immerge letteralmente nell’alterità degli universi oltremondani, sotto l’egida dalla tradizionale palandrana. Si aggira tra le creature aeree, occhialetti da piscina scurissimi, incapace di intervenire in quei soliloqui autoportanti, mossi dall’alto. Ingenuamente tende la mano a tentare qualcosa – ma subito la ritira e retrocede, conscio della futilità, ormai, di ricorrere a gesti umani. Eppure si scopre il capo, muove le labbra, tenta di parlare, forse a noi. Ma, come decine di volte tornava a ripeterci nel corso del “suo” poema, con insistente preterizione, troppo è «corto il dire» – e non udiamo una sillaba.

04/11/2021 - Carlo Lei, Krapp's Last Post