27/07/2009 - Silvia Ceccangeli, 4arts

Mi piace ricordare le cose a modo mio… che non è necessariamente il modo in cui sono accadute“.
(David Lynch, “Lost Highway”, 1997).

Discorso di carnalità inteso come movimento senza soluzione di continuità, pancia, schiena… Danza che dà forma in divenire e va ad un’esistenza prepotente e disarmante dell’esserci. Il percorso di Nanou racconta l’intenzione di fondere spazio, suono, parola e movimento per trasformarli in un impasto di sensazioni in cui i singoli elementi si contaminano fra di loro e diventano sempre altro da ciò che sono e danno vita a una scrittura scenica densa e personale. Fondere questi tre elementi perché diventino veicolo di una visione, perché trasformino e sgretolino una realtà mostrandosi e smostrandosi. L’espressione del viso come forma linguistica, simile alla costruzione del movimento in danza o in teatro, corpo, sguardo… dinamiche del corpo, gestualità del corpo poste nello spazio. La necessità di lavorare senza conoscenze tecniche per poi usare qualsiasi tecnica è l’iter del loro lavoro in danza per ottenere l’espressione assoluta nei movimenti sempre intensi e affascinanti. Un discorso sulla carnalità, un disegno forte di figure pensate e vissute, qualcosa di non presente o visibile necessariamente, ma percepibile. Un intenso rapporto con il proprio corpo e quello dell’altro in dialoghi e sensazioni forti è il racconto in danza di Nanou. “Colore carne e parole ad un luogo in continuo mutamento. Un fare per non rimanere imbrigliati in un’immagine. Una tensione a volersi proiettare oltre il proprio finito, oltre i limiti del proprio corpo (e della propria solitudine)”. “Motel” è lo spettacolo, in scena il 29 e 30 luglio nel’ambito del festival “DRODESERA FIES”, della compagnia Nanou di e con Marco Valerio Amico e Rhuena Bracci, col suono di Roberto Rettura, il light design di Fabio Sajiz, concept feat Robert Rebotti (jacklamotta). Il progetto “Motel” è una trilogia divisa in stanze: storie ordinarie, storie di follia, storie di famiglia. Rapporti costruiti fatti di immense incomprensioni rinchiusi in una piccola stanza di un Motel. In “Motel” “Faccende Personali prima stanza”, il dramma non è mai presente nella scena. Le cose avvengono in fatti di movimenti quotidiani, tutto è dentro e mai fuori: l’inquietudine si percepisce nel silenzio del momento. Un rumore senza rumore: un rumore interno che scava in noi e che ci fa spostare da un punto ad un altro nelle nostre vite senza soluzione, alla ricerca sempre di qualcosa in un luogo familiare, che però è disabitato da tempo. Motel è la stanza dei segreti, degli amanti, delle puttane, il rifugio degli assassini, la sosta dei viaggiatori. La storia è sempre fuori dalla finestra, la storia è sopra le nostre teste: un’immagine reale e una immaginaria. Rapporti fatti di incomprensioni e falsità e di un’assassina continuità. Rapporti criminali fatti di mancanza di coraggio di avvicinarsi all’altro, creando solo distanze e separazioni. I personaggi e le relazioni, tra di loro, sono condannati all’immobilità, e ciò che avviene nei loro incontri alienanti si risolve nel momento stesso in cui tutto accade. Motel è il vuoto e la solitudine di certi rapporti, di molti rapporti che non hanno più senso e luogo, è un invito a specchiarci nei nostri riti quotidiani anonimi, nella nostra abitudine alla solitudine da una realtà che non si lascia mai afferrare e che ci incastra in una quotidianità priva di ogni senso In scena un tavolo coperto da una lunga tovaglia: un nascondiglio, un luogo di magie… ruoli scambiati nel buio come un gioco di bambini. Li sotto avvengono cose incredibili, scambi di ruoli e ricerca dell’altro. Essere attori di noi stessi e portare in scena l’immagine migliore di noi, variando l’immagine nel buio e portarla alla luce, rinunciando al gesto e alla parola, cercando di re-inventarci ogni volta per rimanere nell’illusione che tutto può avvenire ancora.

Prima stanza [Motel] - © Laura Arlotti

27/07/2009 - Silvia Ceccangeli, 4arts